martedì 24 giugno 2008

Una notizia allarmante sui termovalorizzatori


Pubblichiamo di seguito la lettera del presidente dell'associazione Pangea Blu, Luca Stamati, pubblicata sulle pagine napoletane de La repubblica di qualche giorno fa.....
La trovate anche (qui) sul blog di Norberto Gallo (che naturalmente ringraziamo).

Una notizia allarmante sui termovalorizzatori
(Scritto da Luca Stamati - da la Repubblica Napoli, 21-06-2008)


Leggo su "Repubblica" che la Camera ieri ha approvato all'unanimità l'emendamento, presentato dal segretario regionale del Pd Iannuzzi, sugli incentivi per i termovalorizzatori campani. E così con l'appoggio determinante di Bertolaso sono rientrati dalla finestra quei famosi Cip6 (incentivi per le fonti energetiche alternative) che il governo Prodi aveva giustamente escluso (ricordo che solo in Italia il Cip6 è previsto per questi impianti) e limitato al solo inceneritore di Acerra.
Eppure sul "Venerdì di Repubblica" del 16 maggio è apparso un articoletto dal titolo:
"Quando la salute se ne va in fumo (tossico)" preceduto da un occhiello: "Una ricerca francese sottolinea il rapporto diossina-cancro".
Ecco cosa diceva l'articolo:
«Nelle popolazioni che vivono in prossimità di impianti di incenerimento dei rifiuti è stato riscontrato un aumento dei casi di cancro dal 6 al 23 per cento. Lo dice una ricerca resa pubblica il 3 aprile scorso, l'ultima delle 435 ricerche consultabili presso la biblioteca scientifica internazionale Pub med (www.ncbi.nlm.nih.gov) che rilevano danni alla salute causati dai termovalorizzatori per le loro emissioni di diossina, prodotta dalla combustione della plastica insieme ad altri materiali. Questa molecola deve la sua micidiale azione alla capacità di concentrarsi negli organismi viventi e di penetrare nelle cellule.
Qui va a "inceppare" uno dei principali meccanismi di controllo del dna, scatenando le alterazioni dei geni che poi portano il cancro e le malformazioni neonatali».
Per la miseria, ma questa notizia è una bomba.
Come mai non l'ho letta su nessun altro grande giornale né sentita su qualche telegiornale?
Eppure è di stretta attualità e l'istituto che l'ha resa pubblica è l'Istituto statale di sorveglianza sanitaria francese.
Qualcuno può aiutarmi a capire?
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mercoledì 18 giugno 2008

Il partito democratico napoletano? Un ectoplasma!


Oggi pubblichiamo un articolo(a firma del presidente di Pangea Blu, apparso sul corriere del mezzogiorno) su un tema che in apparenza non c'entra con l'emergenza rifiuti e la crisi economico, sociale, plitica e culturale della città di Napoli.
Siccome però riteniamo che la crisi del partito che governa le principali istituzioni campane è la crisi della politica e delle classi dirigenti riteniamo utile postarlo con la speranza di contribuire al dibattito in corso.
Ecco di seguito l'articolo.....

Qui il Partito democratico non esiste
(Scritto da Luca Stamati-da il Corriere del Mezzogiorno, 18-06-2008)

Caro direttore, ha ragione Sergio Locoratolo, la struttura territoriale del Partito democratico non esiste e si declina solo attraverso gruppi organizzati attorno a personalità più o meno autorevoli, mancano completamente le sedi di confronto e di decisione, non esiste alcuna linea politica. E come potrebbe essere altrimenti se gli attuali assetti di vertice sono il frutto della necessità di aggirare veti incrociati piuttosto che la rappresentanza del risultato di una lotta politica trasparente?
Alcuni ricorderanno che lo scontro, a suo tempo, fu tra innovatori nella discontinuità e innovatori nella continuità.
I primi, semplifico, riducevano il tutto a «basta con Bassolino» e i secondi a «Bassolino ha comunque dichiarato che andrà via e dunque possiamo ripartire dalle luci del suo quindicennio».
Né gli uni né gli altri hanno mai messo minimamente in discussione ....( per continuare clicca su ("leggi tutto")le scelte politico-amministrative fin lì adottate.
Non una parola di discontinuità o di innovazione sulle scelte inerenti i fondi europei, non una sul tipo di smaltimento e del ciclo integrato dei rifiuti, sui consorzi, sulle bonifiche, sui piani di sviluppo di Bagnoli e Napoli Est, sullo stato delle periferie, sulle società partecipate, sulla liberalizzazione o meno dei servizi. E da allora leggiamo dichiarazioni sulla stampa che denotano solo l'autoreferenzialità degli attuali vertici.
Il risultato è un ectoplasma impalpabile di cui i cittadini napoletani non hanno alcuna percezione.
Nei giorni scosrsi abbiamo letto le dichiarazioni di un autorevole dirigente del Pd che, partendo dal riconoscimento che «per la prima volta in quindici anni il voto delle politiche coincide, in termini di risultato negativo, con il voto delle amministrative», lancia una sfida. «Fare il partito, fondare uno spazio politico nuovo e unitario, ritornare ad un partito di massa procedendo ad un nuovo radicamento sociale e territoriale, aprirci e andare oltre noi stessi con la consapevolezza che da soli non possiamo farcela».
Bene ecco una sfida che va raccolta.
Il nuovo Pd dovrà essere autosufficiente o guardare ad un centro sinistra rifondato?
Si lascia la sinistra napoletana al suo destino o la si incalza sul piano dei contenuti e di un programma minimo per i prossimi mesi e anni?
Nelle scelte delle istituzioni va tutto bene o bisogna operare delle discontinuità, registrare meglio qualcosa?
Per quel che riguarda invece la difficoltà o l'impossibilità, causata dalla incertezza della data delle dimissioni di Bassolino (forse l'unico punto sul quale dissento da Locoratolo) di «pianificare e programmare tempestivamente il percorso di selezione di una nuova leadership», a me sembra solo un alibi.
Un alibi che fa il paio, a livello nazionale, con una opposizione che confonde una scelta psicologica con una politica.
Attendere, senza spendersi, che Bassolino vada via per scendere in campo e attrezzare politicamente la costruzione di una leadersip alternativa equivale a non fare opposizione visibile affinché la maggioranza attuale,anzi il suo leader, ti legittimi come alternanza e intanto aspettare che vada via così potrai aspirare a sostituirlo.
Una scelta di questo tipo è tutto fuorché una politica.

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mercoledì 11 giugno 2008

Napoli e i napoletani sono imbelli,rassegnati e privi di senso civico?


Anche oggi decidiamo di dare spazio ad opinioni altrui sul nostro blog.
Pubblichiamo come post un articolo che secondo noi è l'analisi e la riflessione sulla nostra città più bella e migliore che sia stata scritta negli ultimi anni.
Ecco di seguito l'articolo in questione....

Napoli, un dramma nazionale
di Ermanno Rea (da il Manifesto, 11-06-2008)

Non cerco d'abitudine la vetrina giornalistica. Capita però talvolta di avere qualcosa da dire, qualcosa che ti pesa dentro e pretende ascolto. Allora bisogna farsi coraggio e chiedere un po' d'attenzione. Essendo nato a Napoli, ho scoperto improvvisamente quanto sia difficile oggi portarsi dietro il peso di questa etnia. «Sei napoletano? Ma allora mi sai dire che cosa succede dalle tue parti? Possibile che in quella città non vi sia più una borghesia degna di essere chiamata tale? Una società civile capace di qualche protesta? Una guida morale e intellettuale purchessia? Possibile che siate tutti così imbelli e rassegnati, oltre che indisponibili a quei sacrifici cui ogni comunità dotata di un minimo di senso civico sa di non potersi sottrarre?»
Non ne posso più. La requisitoria, non so se promossa ma sicuramente amplificata da alcune «autorevoli firme» che ne hanno fatto oggetto di una petulante polemica, tende a farsi sempre più luogo comune. Non credo di esagerare: mille fantasmi sembrano agitare di colpo il fondo torbido del nostro Paese. Fantasmi dei quali sinora mi era sfuggita l'esistenza ma che probabilmente covavano nascosti da qualche parte dell'inconscio collettivo e che un improvviso colpo di vento - come chiamarlo diversamente? - ha ridestato dal letargo.
Preciso che non mi riferisco alle nevrosi del leghismo dilagante, bensì a ....( per continuare clicca su ("leggi tutto"))un più vago ed esteso sentire che anzi pretende una sua innocenza, una sua onestà indenne da ogni forma di razzismo. Anche se per me di razzismo si tratta, di razzismo inconsapevole, se si può dire così, che affiora perfino alle labbra di amici e conoscenti, persone che pensavi di conoscere a fondo e che invece conoscevi soltanto in parte (forse perché loro stesse si conoscevano soltanto in parte). Chiarisco. Mi sconcertano non tanto le critiche in se stesse (sono il primo ad affermare che a Napoli non esiste più una classe dirigente degna di questo nome, che il degrado sociale è spaventoso e la cosiddetta società civile - che pure esiste, porca miseria, e spesso sa essere eroica - vive ore amare, difficilissime). Mi sconcerta il modo con il quale queste critiche vengono formulate: come se il problema non riguardasse minimamente chi parla e accusa. Come se Napoli non fosse un pezzo d'Italia ma il lembo reietto di un oscuro territorio confinante. «Vedi - ho detto alcune sere fa a un maturo intellettuale, già parlamentare di estrema sinistra, - tu metti sotto accusa Napoli usando più o meno i miei stessi argomenti. Soltanto che ne parli con sufficienza e distacco, considerando quella città un ignobile altrove, mentre io ne parlo con l'ira e il dolore di un italiano che si sente personalmente ferito. E dico italiano perché per me quello che sta andando in scena a Napoli è prima di tutto un dramma nazionale, che ci riguarda tutti, che investe responsabilità politiche di ogni genere, vicine e lontane, e non soltanto una 'sporca faccenda' locale».
Come ha scritto recentemente su il manifesto Marco Revelli (venerdì, 6 giugno 2008), in poche settimane in Italia si va bruciando un intero patrimonio di civiltà giuridica e politica. Vale la pena citare testualmente le sue parole. «Lo sappiamo, purtroppo, per averlo visto infinite volte nel feroce Novecento: succede, è successo, succederà purtroppo ancora che un popolo, una nazione, un sistema istituzionale d'un colpo 'vadano giù'. Che perdano sé stessi. Il senso della misura...».
Il modo in cui viene generalmente percepito il caso Napoli mi pare un'ulteriore controprova di questa disfatta della ragione. Rimosso come problema estraneo al Paese nel suo insieme, esso tende sempre più a configurarsi (soprattutto a essere configurato dai mezzi di comuinicazione di massa) con i contomi dell'«anomalia» a mezza strada tra dramma e folklore. In ogni modo, come questione che non riguarda la coscienza del resto d'Italia in quanto i «non napoletani» sarebbero «un'altra cosa». Anzi, a giudizio di alcuni, sarebbero addirittura la virtù contrapposta al vizio (rammento qui di sfuggita la tendenza, espressa da qualche fantasioso interprete della «napoletanità», a ipotizzare l'esistenza di una sorta di naturale predisposizione alla protervia in taluni strati del popolo partenopeo, predisposizione risalente addirittura ai riti di Cerere che «celebrava i suoi saturnali a Piedigrotta, le sue feste dissipatrici nei palazzi dei principi, le sue vendette sanguinarie nei bassi...». Una predisposizione risalente insomma al mito e alla preistoria: quando si dice la mano di Dio, anzi di Satana).
Potrà nascere nulla di buono da tutto questo? È una domanda retorica, ovviamente: sono pessimista, benché non per vocazione. Lo sono perché quello che accade viene letto in maniera distorta e ingiusta. Perché tutti i più grandi maestri del pensiero politico, dall'unificazione nazionale in poi, hanno sostenuto che la questione meridionale non sarebbe stata mai risolta fino a quando non fosse diventata il cuore stesso del programma politico nazionale, il bersaglio collettivo numero uno, la sfida suprema, e questo non soltanto non è mai accaduto, ma è stato sempre deliberatamente contraddetto, ovviamente nei fatti se non nelle parole.
Ho tra le mani il discorso con il quale Giorgio Amendola, il 20 giugno del 1950, motivò alla Camera dei deputati le ragioni per le quali la sua parte politica si opponeva all'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Ne improvviso una brevissima sintesi che attesta l'impressionante attualità della tesi sostenuta. «Noi ci moviamo sopra il solido terreno della migliore tradizione meridionalista, che affermò sempre, con spirito profondamente unitario, il carattere nazionale del problema meridionale, da risolversi non con leggi speciali, non con soli lavori pubblici ma con un determinato indirizzo generale della politica nazionale... Ora voi, con il pretesto di dare mille miliardi (che non darete) cercate di creare un organismo che sarà un pericoloso strumento di corruzione e di asservimento delle popolazioni meridionali... I mille miliardi promessi non vi saranno mai, o non vi saranno tutti, ma vi sarà la Cassa che diventerà un nuovo cancro roditore della vita meridionale». Sono passati esattamente cinquantotto anni dal giorno in cui risuonarono a Montecitorio queste parole. Che còsa è cambiato, se non in peggio? Le profezie di Amendola si sono purtroppo avverate in maniera puntuale.
Il Sud è stato irrorato di denaro che è servito soltanto ad alimentare parossisticamente corruzione e malavita organizzata. Era quello che si voleva, no? E tuttavia, amici e conoscenti, e perfino intellettuali, scrittori e soprattutto opinionisti di fama non sanno fare di meglio che puntare indici accusatori contro la società civile di Napoli. Cornuti e mazziati, si dice dalle mie parti. Ma credo anche altrove. «Mazziati» infatti lo siamo un po' tutti, perché uno Stato che in sessantanni non è riuscito a realizzare il pieno controllo (anche economico, oltre che civile e politico) dell'intero territorio nazionale, e non è riuscito a debellare i centri di malavita organizzata, è uno Stato che ha fatto danni da tutte le parti.
Concludo. Tra i tanti fantasmi che si aggirano oggi in Italia vi è anche quello della sinistra che non c'è più. Si cerca un punto dal quale ripartire. Domando se questo punto non possa essere la stessa unità nazionale dell'Italia. La situazione esige una sorta di interiorizzazione del problema meridionale, in ogni caso il rilancio della sua centralità intesa come questione di vita o di morte. Ma i demoni trionfanti non ne vogliono sapere. Perché non partire, nella discussione, proprio da questa feroce contraddizione?

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martedì 10 giugno 2008

La shock economy dei rifiuti-l'emergenza conviene!


Questa volta pubblichiamo come post un'articolo di Guido Viale apparso su la Repubblica di oggi(alla pagina "lettere e commenti").
Lo facciamo perchè ne condividiamo l'approccio, l'analisi e le conclusioni.

Ricordiamo che Guido Viale è attualmente tra i consulenti(non retribuiti)della Regione Campania sul problema dello smaltimento ordinario dei rifiuti.
ecco di seguito l'articolo.....

LA SHOCK ECONOMY DEI RIFIUTI
di GUIDO VIALE


Nel libro Shock Economy Naomi Klein interpreta con uno schema unitario molte vicende degli ultimi decenni: disastri, di origine naturale o indotti da interventi politico-militari o da misure economiche offrono l´occasione per azzerare gran parte della normativa vigente – a partire dai fondamenti costituzionali – in nome dell´"emergenza"; per esautorare istituzioni previste dall´ordinamento giuridico; per consegnarne le funzioni a una o più imprese private, che le gestiscono con risorse pubbliche e tariffe di favore in contesti di totale deregolamentazione, perpetuando le condizioni dell´emergenza e aggravando il disastro. L´emergenza campana inizia negli stessi anni a cui la Klein fa risalire l´avvio....( per continuare clicca su ("leggi tutto"))di questo processo: prima il colera; poi il terremoto; infine, quando cessano di operare i disastri naturali, l´emergenza rifiuti: altrettante occasioni per derogare alle norme sulla gestione del territorio e consegnarlo alla fine nelle mani di un Commissario straordinario e, attraverso questo, di un´impresa privata: la Fibe. Alla quale è stato affidato, con una gara di cui è accertata l´irregolarità, la gestione di tutta la parte lucrativa del ciclo dei rifiuti - smaltimento finale e trattamento intermedio, cioè discariche, inceneritori e i cosiddetti Cdr - ivi compresa la funzione eminentemente pubblica di decidere dove fare gli impianti. Se la Campania si trova oggi in una situazione così drammatica è perché, in attesa degli inceneritori (prima 24, poi 13, poi 3, poi solo uno, poi di nuovo 3 e ora 4) che avrebbero dovuto bruciare tutto, non si è mai avviata – con poche eccezioni – la raccolta differenziata e si sono intasati i Cdr, che avrebbero dovuto separare il rifiuto residuo in "secco" e "umido", per bruciare negli inceneritori solo il primo. Che bisogno c´era mai di separare tante frazioni se poi si poteva bruciare tutto, guadagnando per ogni tonnellata avviata all´impianto e per ogni kWh prodotto, grazie agli incentivi (CIP6) che solo l´Italia eroga a beneficio dell´incenerimento? Non solo: le ecoballe uscite dai Cdr si sono accumulate a milioni di tonnellate (7 o 8), perché il progetto della Fibe, che doveva essere realizzato in 300 giorni, non è mai entrato in funzione – e forse non ci entrerà mai – non certo per il fatidico "no" di ambientalisti, che, dopo l´apertura del cantiere, non hanno più contato nulla; ma per difetti di progettazione.
Ma una responsabilità la popolazione della Campania ce l´ha – si dice – perché ha votato le amministrazioni responsabili del disastro. Ma è il sistema che è bloccato. Commissariamento e trasferimento della gestione di rifiuti e territorio alla Fibe lo aveva combinato la Giunta Rastrelli di centrodestra. I campani l´avevano sfiduciata eleggendo la giunta Bassolino di centrosinistra che, invece di invertire rotta, la ha confermata. Tutti i presidenti della Regione (3) i prefetti (4) che si sono succeduti in quel ruolo, alternandosi (2 volte) con il capo della Protezione civile, sono stati nominati o confermati tanto dai governi di destra (Berlusconi 1, 2, 3 e 4) che da quelli di sinistra (Prodi, D´Alema, Amato e di nuovo Prodi). A ogni cambio di cavallo le deroghe alla legislazione ordinaria si sono ampliate, il caos normativo, istituzionale e organizzativo si è approfondito, l´accumulo di rifiuti per strada e il degrado del territorio sono aumentati. Commissario dopo commissario, governo dopo governo, sono state confermate le deroghe alla normativa e l´inceneritore come unica soluzione per salvare la Campania dal disastro che essi stessi avevano provocato. E ovviamente, in un contesto di deregolamentazione e illegalità diffusa, documentata anche dalle recenti intercettazioni, la camorra, già largamente presente sul territorio, ha aumentato la sua presa. L´ultimo decreto del governo, abolisce di fatto in Campania l´intera normativa su gestione del territorio, difesa dell´ambiente, tutela delle acque, salvaguardia della salute, sicurezza sul lavoro e persino fondamentali garanzie della procedura penale; decreta la realizzazione di 11 discariche e 4 inceneritori ammessi al trattamento di quasi ogni tipo di rifiuti, con il rischio di perpetuare – questa volta in modo "autorizzato" – il ruolo della regione di attrattore dei rifiuti tossici di tutto il Paese. Si stabiliscono anche, è vero, obiettivi ambiziosi di raccolta differenziata. Ma se verranno raggiunti, lasceranno inutilizzata metà della capacità degli inceneritori previsti: a disposizione per bruciare le ecoballe e altri rifiuti tossici da fuori regione (sempre fruendo degli incentivi CIP6 aboliti altrove). Stupisce che persone che ritengono improponibile rendere obbligatorio bere l´acqua del rubinetto o bloccare la vendita di imballaggi superflui e di prodotti usa e getta – cosa che dimezzerebbe il volume dei rifiuti per strada – approvi poi misure che intaccano i fondamenti della costituzione.
Alcuni di questi provvedimenti rischiano di stringere ancor più le popolazioni campane in una gabbia di ferro. Ma oggi, forse, ci sono le forze per invertire rotta: rappresentanze di categoria, associazioni del volontariato, comitati spontanei, diversi Comuni e molte parrocchie organizzano e coinvolgono migliaia di imprese, di famiglie e di lavoratori che vogliono fare raccolta differenziata, riduzione degli imballaggi e compostaggio (e che spesso li fanno con il "fai da te"). Certamente non era così tempo fa; ma dieci anni di vita infernale hanno insegnato molte cose a tutti. C´è nel territorio un livello di conoscenze, anche tecniche, sul ciclo dei rifiuti, che non esiste in nessuna altra regione italiana: sarà una risorsa straordinaria il giorno che ci si deciderà a usarla. Si dirà che questa rischia di essere l´ennesima riproposizione di quel "no" che ha gettato la Campania nel caos per un rifiuto pregiudiziale e ideologico dell´incenerimento, che invece funziona così bene all´estero. Ebbene, da qualche tempo i rifiuti che la Campania esporta in Germania, invece di essere bruciati, vengono sottoposti a trattamento meccanico-biologico, separando il secco dall´umido, stabilizzando quest´ultimo per opere ambientali e recuperando dalla frazione secca materiali sempre più preziosi da vendere e riciclare. Che sia questa, la modernità?

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giovedì 5 giugno 2008

Rifiuti? adesso a napoli sono "clean"


Oggi sul Corriere del mezzogiorno(nella pagina "Lettere e opinioni" appaiono in evidenza due articoli.
Uno a firma del presidente della nostra associazione e l'altro a firma di Vincenzo Improta, segretario del sindacato forense di Napoli(ma anch'egli socio fondatore di Pangea Blu e membro del direttivo dell'associazione).
Li riportiamo di seguito sperando che possano innescare una discussione proficua anche nel nostro blog.....

«Gomorra» e il decreto rifiuti
(di Luca Stamati da il Corriere del Mezzogiorno, 05-06-2008)
Caro direttore, nel bel film «Gomorra», tratto dal best seller di Roberto Saviano, la scena del rappresentante della camorra che si offre di smaltire in discariche abusive in Campania i rifiuti pericolosi prodotti dall'azienda dell'industriale del Nord, attraverso certificazioni false di falsi trattamenti, accogliendo positivamente la preoccupazione dello stesso industriale che chiedeva se tutto fosse «clean», sembrava un po' troppo romanzata.
Nella realtà napoletana, dopo gli arresti domiciliari della vice di Bertolaso e di altre 24 persone, tra le quali anche amministratori e dipendenti della «Fibe» e del commissariato straordinario ai rifiuti, almeno a stare alle intercettazioni pubblicate dai giornali, sembra che la modalità di smaltimento raccontata nel film venisse allegramente praticata anche nelle discariche ufficiali gestite dallo Stato.
E quando abbiamo letto il comma 2 dell'articolo 9 del decreto sullo smaltimento dei rifiuti in Campania, approvato dal Consiglio dei ministri tenutosi a Napoli, abbiamo immediatamente pensato al «clean» del film.
Quel comma infatti prevede che alcuni rifiuti pericolosi e nocivi vadano riclassificati come smaltibili in discarica, per cui da dopo l'approvazione del decreto governativo quei rifiuti che non è possibile smaltire in altre parti d'Italia perché considerati pericolosi, potranno essere smaltiti tranquillamente in Campania e non in discariche abusive gestite dalla camorra ma in discariche pubbliche gestite dallo Stato e presidiate dall'esercito. Più «clean» di così?
Dalle pagine di questo giornale Luigi Caramiello ha preferito leggere in quell'episodio e nelle parole del dialogo tra il colletto bianco camorrista e il suo assistente che decide di non continuare ad essere complice di una condotta criminale nei confronti della sua terra la rappresentazione di un banale «luogo comunista», un vecchio e ormai antistorico luogo comune che addossa ai meccanismi dello sviluppo capitalistico e alle leggi del mercato l'arretratezza e i guasti della Campania non capendo che è proprio per l'assenza di quei meccanismi che si condanna Napoli e il Meridione ad essere la pattumiera d'Italia.
Dovremmo allora dedurre che una cellula «in sonno», composta da un numero insospettabile di comunisti e rivoluzionari guidati dal noto doppiogiochista internazionale, il comunista Sean Pean, si sia insediato a Cannes e ne abbia approfittato per premiare il film «Gomorra»?
Mentre Salvatore Prisco ci ha svelato, sempre dalle colonne di questo giornale, l'iniziativa da parte dei pm napoletani che nella foga ingenua di difendere l'autonomia dell'azione giudiziaria e penale dalla politica e dalle sue compatibilità e senza tener conto dell'emergenza ha firmato un documento di critica al decreto governativo che sospende a Napoli la legislazione ordinaria, rendendosi involontari complici degli interessi più o meno leciti di chi non vuole risolvere l'emergenza rifiuti in Campania.
Come sempre la realtà supera la fantasia!
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L'inutile ricerca del grande borghese napoletano
(di Vincenzo Improta da il Corriere del Mezzogiorno, 05-06-2008)

Caro direttore, Giuliano Ferrara ed Angelo Panebianco cercano il «grande borghese» napoletano a cui affidare le sorti della nostra città dolente. Ma la ricerca non sarà facile e le spiego le ragioni. La prima è che le culture cattolica e socialista hanno creato un humus identitario per il quale, come ricorda John Fowles, la borghesia è « la sola delle tre caste sociali che per continuare clicca su ("leggi tutto"))sinceramente ed abitualmente disprezzi se stessa». Risulta perciò raro che qualcuno rivendichi e dichiari apertamente di essere un borghese.
La seconda è che la particolare e ambigua democrazia inveratasi nel dopoguerra a Napoli ha assegnato, in nome della questione meridionale, alla politica, all'azione collettiva e alla spesa pubblica il ruolo centrale nella società. Ha quindi affidato a questi strumenti il compito di sancire, e molto spesso a prescindere dal merito, il successo di imprese e di professionisti.
La politica, i partiti, e l' amministrazione pubblica con i «fiumi» di danaro che hanno gestito e manovrato hanno cioè limitato fino a neutralizzarla, l'autonomia dei singoli e dei gruppi. Imprese assistite, cooperative fasulle, politici travestiti da professionisti, e in questa veste nominati ai vertici della sanità o insigniti del ruolo, cospicuamente remunerato, di consulenti o saggi. Per non parlare poi degli studiosi aggiogati al carro della coptazione universitaria, e dei funzionari di stato divenuti « partigiani politici».
La terza ragione, per la quale risulterà davvero difficile trovare il «grande borghese» è che alla competizione umana, al confronto agonistico e di mercato come campi per la selezione e criterio per la distribuzione della ricchezza e degli onori, si è preferito organizzare la selezione delle classi dirigenti sulla base del conformismo ugualitario e dell'adesione al politicamente corretto.
Tutto questo si è iscritto nella storia della nostra città, dove la regola è sempre costituita dalla prevalenza dell' eccezione sulla norma, ed ha finito col generare un particolare ordine sociale spontaneo in cui agiscono individualità opache ed irresponsabili.
Ristabilire il primato della norma sull'eccezione, del merito sulla cooptazione, della responsabilità (doveri) sul bisogno (diritti), della creatività e del dissenso sul conformismo, insomma, in una parola, restaurare il ruolo ed il primato della borghesia resta un obiettivo auspicabile, ma lontano.

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